martedì 24 agosto 2010

La prima estate a Capri


Questa è una delle prime foto scattate a Capri, nell'estate del 1962. Sono seduta su un pilastrino, in via Mulo, sulla strada che porta a mare. Ricordo ancora il foulard tourquoise che portavo al collo, sorridevo perchè per me Capri era diventata una sorta di paradiso in terra. Bagni stupendi, tantissimi nuovi amici, conosciuti sulla spiaggia o nelle lunghe serate in piazzetta, in attesa di decidere come passare la serata. All'epoca nessuno di noi ragazzi disponeva di molti soldi, nel nostro gruppo c'erano villeggianti e ragazzi capresi, con i quali organizzavamo passeggiate al chiaro di luna e qualche volta anche qualche festicciola a casa dell'uno o dell'altro. Nel gruppo c'era un ragazzo romano particolarmente bello, oggetto delle speranze e delle illusioni di tante di noi, ma lui non ci vedeva neppure... Quando andavamo alla terrazza del pittore o al piano delle noci e facevamo andare il mangiadischi a tutto volume, ogni tanto ci onorava di un invito a ballare, ninuti di intensa felicità e grande batticuore, che terminavano fin troppo presto, quando finiva il disco che stava suonando. Mio fratello, invece, pur non conoscendo nessuna lingua, corteggiava le straniere e spesso rimorchiava. Io facevo un po' da interprete, mi arrangiavo bene in francese e masticavo un po' di inglese e quindi spesso veniva con noi anche qualche sua amichetta, con la quale avrei poi intrattenuto fitte corrispondenze invernali.
Quando i miei genitori erano stufi di tanto mare, ci costringevano a tornare prima per andare alla scoperta dell'isola:che scarpinate per andare a villa jovis o per scendere da monte solaro a piedi, costeggiando selve e orti e saccheggiando i cespugli di more... La mia meta preferita era Villa San Michele, la residenza di un medico svedese, appassionato collezionista di pezzi di epoca romana, che aveva costruito la casa sul pelo di uno strapiombo, con una vista mozzafiato. Cominciavamo la passeggiata bofonchiando contro i genitori che ce le imponevano senza ammettere defezioni o discussioni e finivamo sempre più innamorati del posto.
I capresi erano straordinariamente ospitali, dei veri maestri nell'arte dell'accoglienza. Qualche tempo fa sono entrata in un ristorantino che non conoscevo e il cameriere mi ha salutato chiamandomi per nome. Potete immaginare la mia meraviglia ed il mio imbarazzo perché non riuscivo a ricordare chi fosse. Ad un certo punto, capito che non riuscivo a collocarlo, mi dice di aver fatto il bagnino a Torre Saracena e mi ricorda di quando mio padre passava ore a spazzolare lo scoglio sul quale passava quasi l'intera giornata di mare. Ci siamo abbracciati come se fossimo stati parenti ed è stato bellissimo. Ora Capri è molto cambiata, sui gradini della piazzetta ci sono delle fioriere, per impedire ai ragazzi di occuparle quasi militarmente, come facevamo noi.

domenica 22 agosto 2010

... a Capri


Finite le scuole, dopo aver passato quasi un mese a Ripalta, giunse il momento di partire per il mare... Decisi a non accettare la nuova meta delle vacanze, cercammo in tutti i modi di fare ostruzionismo, ma mia madre era decisa a non darcela vinta, quindi, fatte le valigie, armi e bagagli, venimmo trascinati a Capri. Ormai era estate piena, c'era uno splendido sole e la traversata fu in realtà una piacevole novità, altro che i tornanti per arrivare a Positano, che richiedevano continue soste, a causa del mal d'auto ora dell'uno ora dell'altro di noi.
Lasciate a casa le valigie, dalle quali avevamo tolto solo i costumi da bagno, fatti i panini per la colazione e comprata un po' di frutta, ci portarono a mare, a Torre Saracena. Una spiaggia piccola, tutta di ciottoloni, costeggiata da rocce non molto alte, su cui troneggiava la Torre.
Ci si arrivava percorrendo una lunga scalinata (150 gradini), facilissima da scendere, ma ahimé assai più faticosa da risalire. Al centro della minuscola baia, c'era uno scoglio quasi piatto, affiorante, abbastanza grande per starci di due o tre persone, di cui mio padre in breve si impossessò, trasferendo lì la sua attività di insegnante di tuffi.
Dopo qualche giorno, acquistò una spazzola con le punte di ferro e passava ore a "grattare" lo scoglio, per togliere tutta la vegetazione, in modo da farne una base sicura, dalla quale tuffarsi senza paura di scivolare.
Anche noi, ormai esperti in quell'arte, dopo qualche giorno, cominciammo a cimentarci nei tuffi più arditi da quelle rocce a picco sulla spiaggia, raccogliendo applausi e fotografie di turisti incantati dalle nostre acrobazie. Il fondale, poi, era di un verde incredibile, in qualche punto più chiaro o più scuro a seconda della vegetazione sottostante e c'era una ricca fauna, pronta a diventare nostra preda.
Pescavamo pesciolini da zuppa ma soprattutto polpi. Mio fratello più piccolo in breve divenne il "pescatore" ufficiale. Avvistava le tane e le teneva d'occhio, poi, quando qualcuno gli ordinava il polpo, in genere di sabato, li pescava e li vendeva.
Torre Saracena e la pesca gli fruttavano un bel gruzzoletto, che, oculato nelle spese com'era, gli durava quasi tutto l'inverno.
In breve Positano venne dimenticata, tanto più che ormai non si faceva più la festa di ferragosto, nè veniva montato lo zatterone.
Un po' alla volta imparammo a conoscere e ad amare Capri: se volevi stare in compagnia, bastava andare nella piazzetta, sedersi sulle scale e aspettare l'arrivo degli amici, osservando il via vai di turisti e di villeggianti, ma bastavano cinque minuti per allontanarsi dalla folla e stare soli.

sabato 21 agosto 2010

Da Positano ...


L’estate a Positano era come una festa ininterrotta, a mare dalla mattina alla sera, mio padre teneva una sorta di scuola tuffi amatoriale sullo zatterone, un grosso tavolato ancorato un po’ al largo, dove si piazzava dalla mattina, insegnando ai ragazzini a tuffarsi di testa. Sullo zatterone si potevano anche pescare minuscoli pesciolini rosa, che avrei poi scoperto essere pezzogne, si inventavano tanti giochi da fare con materassini e canotti, nascevano le prime curiosità ed i primi amori
Passavamo estati pigre e assolate, vivendo scalzi da giugno a settembre, ma nella primavera del 1962, dopo vari dissapori familiari legati alla eredità di una sorella di mio nonno, di cui pareva essersi impossessato, spalleggiato dai suoi fratelli, un mio zio, mia madre decise che non saremmo più andati in vacanza lì, ma saremmo andati in vacanza altrove. In una fredda giornata di marzo, quindi, partimmo tutti e cinque alla volta di Capri, che mamma ci costrinse a perlustrare in lungo e in largo, alla ricerca di una casa adatta alle nostre esigenze ed al nostro portafoglio.
Verso la fine della mattinata, quando ormai esausti noi del lungo camminare, lei delle nostre recriminazioni, finalmente la trovammo e mamma, incurante delle perplessità di mio padre e dei nostri pianti disperati, la prese.
Era una casa al pianterreno, circondata da un piccolo giardino con un albero di fichi, la proprietaria, che si chiamava Marietta, ci mostrò orgogliosa il grande finestrone che affacciava sul porto di Marina Grande, dove arrivavano i traghetti da Napoli e le barche dei ricchi e precisò che, nel prezzo dell'affitto, erano comprese un paio di ore quotidiane di aiuto domestico.
Via Lopalazzo, si chiamava la strada e correva parallela al Corso Roma, per poi immettersi su via mulo.