sabato 28 febbraio 2009

Carnevale - Maschere (1)



I Parlato erano sempre pronti a festeggiare in compagnia, Natale, Capodanno, Pasqua erano feste rigorosamente assegnate alle sorelle di mio padre, in una interminabile gara di bravura culinaria. Ugualmente festeggiati con gran pompa compleanni ed onomastici delle sorelle, meno quelli dei fratelli, le cui mogli non avevano tanta voglia di darsi da fare.
Il Carnevale, invece, nella loro infanzia costellata di lutti familiari e vissuta con una mamma di salute assai cagionevole, era una festa quasi ignorata, quindi se ne era immediatamente impossessata mia madre che invece amava stare in compagnia (del periodo del collegio non ricordava assolutamente nulla, tanto doveva essere stato infelice). Quindi a carnevale si festeggiava doppiamente, con i parenti e gli amici e con noi bambini. Lei cucinava e cuciva benissimo, era una persona che ignorava la pigrizia, piena di fantasia e di buon gusto com’era, si sbizzarriva a preparare succulenti manicaretti e a cucire vestiti e vestini nei quali ci saremmo pavoneggiati a tutte le feste di carnevale alle quali avremmo partecipato.
Nella nostra casa di via Poerio c’era un salotto ai cui lati c’erano lo studio di mio padre e la camera da pranzo, tutti comunicanti tra loro e che costituivano quindi uno spazio adattissimo alle feste. Dopo aver deciso come ci saremmo vestiti (ed era una delle poche occasioni in cui avevamo voce in capitolo) mamma si metteva subito al lavoro.
Un anno io avevo letto la Tamburrina di Napoleone, un libro per bambini di cui non ricordo quasi nulla, se non la copertina. Mia mamma mi cucì un pantalone di panno azzurro, con due bande dorate ai lati, un corpetto bianco con le spalline azzurre e le nappe dorate che ne discendevano e una sfilza di alamari dorati cuciti su strisce di panno rosso, insomma più o meno come la divisa della foto, salvo che per i colori. La cosa più difficile fu trovare il Kepì, che nessuno dei negozi di articoli carnevaleschi aveva, così che mio padre dovette ingegnarsi a farmene uno, che però era un po' sbilenco. Fortunatamente, però, una mia zia ne vide uno in un negozio di quelli che vendono la carta a peso d’oro e me lo regalò. Siccome ero magrissima, quel costume mi stava benissimo e l'ho potuto indossare a moltissime feste, per almeno un paio d’anni, poi mi è uscito il pettacchione che ho e così dovetti conservarlo. Ce l'ho ancora, nascosto da qualche parte. Negli anni precedenti e successivi mi sono vestita da cowboy, da ballerina, da pacchiana, da cappuccetto rosso, da dracula… Mio fratello più grande, invece, si vestì per anni da Robinson Crosue, anche a lui mamma aveva fatto un costume con pelli di capra e un vecchio pantalone di fustagno, sul quale indossava una camicia ridotta a brandelli… Massimo, il mio fratello piccolo, pestifero e dotato di una volontà ferrea, mal sopportava di indossare due anni di seguito lo stesso costume, né tanto meno avrebbe mai indossato i nostri, quindi si è vestito da diavolo, da casetta (anche questo costume c’è ancora, come quello di Robinson) , da strillone, da cuoco, da arlecchino, da Pierrot… I miei bambini, invece, si sono vestiti per un paio di anni da Pinocchio (sempre grazie alla nonna, che aveva fatto i vestiti di panno lenci rosso e verde) e poi da pagliaccio, da spaziali, da coniglio, da superman.
Ormai, però, per loro il carnevale si festeggia unicamente con la lasagna, che in verità mi riesce piuttosto bene.

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