Al ritorno dal viaggio in Puglia, ho trovato sulla scrivania del mio computer la scatolina della fotografia. Improvvisamente l'ho vista tra le mani di mia madre, mentre in chiesa tirava fuori il rosario e lo sgranava ascoltando la messa. Ho rivisto le due mani giunte che erano seminascoste in un angolo della chiesa, simbolo di non so cosa, le panche instabili sulle quali sedevano i tanti ragazzini della minuscola borgata, sorvegliati dalle loro mamme che sedevano sulle sedie di paglia.
Dirette da una monaca venuta dal paese vicino, le donne rispondevamo al prete biascicando in un improbabile latino, quando ancora la messa si diceva in quella lingua.La chiesa di Ripalta, costruzione iniziata intorno al 1200 e mai finita, era un vecchio monastero dei frati celestini, pomposamente chiamato il Castello, in cui abbiamo vissuto per anni. Il Castello guardava da un lato la campagna, dall'altro la vicina foce del fiume Fortore, che si snodava pigro in lente anse verso il mare, che si intravedeva all'orizzonte.
In quella chiesa mi sono sposata, in un tripudio di oro, teli rosa e celesti paesanissimi, residuo degli adobbi con i quali la settimana prima era stata festeggiata Santa Maria di Ripalta. Il sabato precedente, infatti, era caduta la festa della patrona e la statua lignea della madonna, portata in processione per le quattro viuzze sterrate del paese, con gran strepito di mortaretti, oscillava paurosamente insieme a quelle di San Ciro e Santa Rita che la accompagnavano durante l'accidentato tragitto dalla chiesa alla Cerra, gruppo di case minuscole, in cui ancora viveva qualche vecchia vedova e qualche famiglia.
E rivivendo quei giorni, rivedo la folla di amici e parenti venuti da Napoli a vedere la casa che avevamo appena finito di restaurare e che si inaugurava proprio con il mio matrimonio.
Ma tornando alla scatolina con la piccola, antica corona, trovarla lì proprio al rientro da Ripalta, viaggio che facevo con lei ogni paio di settimane e che negli ultimi anni per me era diventato una specie di tormento, per il suo continuo rinvangare ricordi dolorosi, veri o immaginati, del suo passato, è stata una coincidenza che mi ha colpito ed emozionato: al ritorno mi ha accompagnato mio fratello, che ha continuato a ricordare questo e quello, parlando di lei, di nostro padre, di noi bambini a Positano e a Capri. Trovare sul computer la sua scatolina, che non sapevo più dove fosse, è stato un po' come trovarla a casa ad aspettarci.